Probabilmente non ne avete mai sentito parlare, ma presto questo nome – deha – potrebbe diventare uno dei protagonisti delle nuove terapie anti-depressione di riferimento. Un recente studio pubblicato da poco su Psychiatry Research, e condotto dal Distretto Centrale di Salute mentale di Hong Kong, rivela infatti lo stretto legame tra depressione e deficit di dhea (deidroepiandrosterone), l’ormone prodotto per il 90% dalla parte reticolare (la più interna) del corticosurrene, e per il 10% dalle ovaie.
Come spiegato dagli esperti di medicina integrata, infatti, il deha è un precursore chimico di molti ormoni, e viene convertito dall’organismo negli androgeni e negli estrogeni, che calano drasticamente con l’avvento della menopausa. Lo studio cinese effettuato dall’istituto cinese fa luce su un nuovo aspetto del dhea, che oltre a mantenere un buon trofismo muscolare, regola il tono dell’umore e mantiene alte la libido, la carica energetica e le performances psicofisiche.
Insomma, il deha è molto più importante di quanto si potesse sospettare fino a poco tempo fa. E purtroppo occorre ricordare che i suoi livelli, però, calano fisiologicamente con il passare del tempo: dunque, se il picco è intorno ai 25 anni, a 50 è meno della metà e a 65 anni è un quarto. Che fare dunque?
Lo studio cinese si è concentrato su un campione di oltre 350 pazienti affetti da depressione media e grave, a cui sono stati misurati i livelli di dhea prima della somministrazione, per otto settimane, di una terapia antidepressiva composta da serotonina e da un farmaco antidepressivo: il citalopram. Al termine della terapia, non solo i pazienti stavano meglio, ma i livelli ematici di dhea erano significativamente aumentati.
Di qui, l’intuizione finale: nelle prime fasi della depressione è sufficiente monitorare il deha e, in caso di carenze, intervenire prontamente con delle terapie per bocca, che possano ripristinare livelli ottimali di questo ormone.